14 Dic Un nuovo stop per il Jobs Act – La Sentenza della Corte Costituzionale 150/2020 del 16 luglio 2020
Con una nuova dirompente pronuncia (la 150/2020 pubblicata il 16 luglio scorso) la Corte Costituzionale ha nuovamente operato un taglio alle norme introdotte dal c.d. Jobs Act in materia di licenziamento.
Questa volta oggetto dello scrutinio della Corte sono state le c.d. «tutele crescenti» introdotte dal Dlgs n. 23/2015 con riferimento ai vizi formali o procedurali del licenziamento.
Nell’ipotesi di ricorrenza di queste fattispecie il legislatore aveva determinato l’indennità dovuta al lavoratore in “un importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”.
La Consulta su sollecitazione dei Tribunali di Bari e Roma ha chiarito però come il criterio dell’anzianità di servizio per determinare, nel nuovo sistema, gli indennizzi monetari in caso di licenziamento viziato sotto il profilo formale o procedurale sia “illegittimo” perché «non fa che accentuare la marginalità dei vizi formali e procedurali e ne svaluta ancor più la funzione di garanzia di fondamentali valori di civiltà giuridica, orientati alla tutela della dignità della persona del lavoratore».
Specie nei casi di anzianità modesta, dice la Corte, «si riducono in modo apprezzabile sia la funzione compensativa sia l’efficacia deterrente della tutela indennitaria» e la soglia indicata dalla norma non è sempre in grado di porre rimedio all’inadeguatezza del ristoro riconosciuto dalla legge.
Pur restando validi il minimo di due mensilità e il massimo di 12 entro cui decidere l’importo, è stato giudicato illegittimo il meccanismo per cui l’indennità è pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio.
Ai fini della determinazione del criterio sulla base del quale i giudici di merito dovranno statuire nei vari casi sottoposti al loro scrutinio la Consulta afferma come l’anzianità di servizio, possa rappresentare «la base di partenza della valutazione», e come tuttavia «in chiave correttiva» e «con apprezzamento congruamente motivato», il giudice potrà ponderare anche altri criteri desumibili dal sistema, che concorrano a rendere la determinazione dell’indennità aderente alle particolarità del caso concreto come ad esempio la gravità delle violazioni, il numero degli occupati, le dimensioni dell’impresa, il comportamento e le condizioni delle parti.
Il criterio di commisurazione dell’indennità previsto per il licenziamento affetto da vizi formali o procedurali è stato perciò ritenuto contrastante con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza e con la tutela del lavoro in tutte le sue forme e questo in sostanziale continuità con la sentenza n. 194 del 2018, che aveva invece dichiarato l’incostituzionalità del meccanismo di determinazione dell’indennità dovuta per i licenziamenti privi di giusta causa o di giustificato motivo oggettivo o soggettivo (articolo 3 del d.lgs. n. 23 del 2015).
La sentenza spiega che le prescrizioni formali, relative all’obbligo di motivazione del licenziamento e al principio del contraddittorio, «rivestono una essenziale funzione di garanzia, ispirata a valori di civiltà giuridica» e «sono riconducibili al principio di tutela del lavoro, enunciato dagli artt. 4 e 35 Cost.», in quanto si prefiggono di tutelare la dignità del lavoratore.
Il legislatore – ha sottolineato la Corte – pur potendo modulare diversamente le tutele per il licenziamento illegittimo, non può trascurare «la vasta gamma di variabili che vedono direttamente implicata la persona del lavoratore». Con riferimento all’articolo 3 della Costituzione, la Corte ha osservato anche che la disciplina in esame, nell’appiattire «la valutazione del giudice sulla verifica della sola anzianità di servizio», determina «un’indebita omologazione di situazioni che, nell’esperienza concreta, sono profondamente diverse» e si pone dunque in contrasto con il principio di eguaglianza.
La Consulta ha ravvisato, inoltre, la violazione del principio di ragionevolezza, che si esprime come esigenza di una tutela adeguata precisando come occorra attribuire «il doveroso rilievo al fatto, in sé sempre traumatico, dell’espulsione del lavoratore», attraverso il riconoscimento del giusto ristoro e la salvaguardia di una efficace funzione dissuasiva della tutela indennitaria.
La rigida predeterminazione dell’indennità, sulla base della sola anzianità di servizio, viola anche gli articoli 4, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, che tutelano «la giusta procedura di licenziamento, diretta a salvaguardare pienamente la dignità della persona del lavoratore».
Dopo la pronuncia in commento è lecito chiedersi cosa ne rimanga del meccanismo delle “tutele crescenti”, il vero e proprio segno distintivo del decreto sui licenziamenti emanato nel 2015 nell’ambito del Jobs Act.
Oggi come allora forti permangono i dubbi su di una normativa che si è andata ad innestare su di un tessuto legislativo di per sé eterogeneo e che nel corso del tempo lungi dal creare una maggiore dinamicità del mercato del lavoro ha in realtà mortificato e compresso il ruolo del lavoratore trasformandolo da risorsa produttiva in fattore della produzione, come tale gestibile e sacrificabile al pari degli altri elementi presenti in azienda.
Parafrasando una nota pubblicità occorre però dire che “la nostra costituzione è differente”, mette l’uomo al centro del sistema e la Consulta rispettando proprio tali principi chiede al legislatore di ricomporre secondo linee coerenti la normativa sui licenziamenti – definita di importanza essenziale – e, come detto, caratterizzata da discipline non omogenee dovute all’avvicendarsi di interventi frammentari e poco lungimiranti.
Il risultato della combinazione delle Sentenze 194/2018 e 150/2020 in buona sintesi cancella il Jobs Act, lasciando orfano il sistema giuridico di norme che i giudici possano applicare in sostituzione di quelle dichiarate incostituzionali.
Urge un intervento legislativo privo di retorica, di populismo e soprattutto denso di Cultura Giuridica (il maiuscolo non è casuale ndt) al fine di compensare gli squilibri creati nel sistema e per organizzare il mondo del lavoro in maniera organica, nel rispetto di tutti i soggetti coinvolti e coerente coi principi della nostra Carta costituzionale.
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